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1993 > Il palazzo e il pazzo (Garzanti)

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Nell’avito palazzo di Belverde, alle porte di Chiusi, il conte protagonista amministra distrattamente gli ultimi scampoli di un patrimonio dilapidato. Vaga in mutande nelle stanza deserte, medita, si sfoga, smania e sentenzia. Compie estemporanee sortite dettate dalle necessità della vita pratica, passeggia negli immediati dintorni. Travolto da “sessual-etilico delirio”, il “pazzo” si aggira in questo suo regno impossibile, incerto fra caso clinico e caso letterario, comunque instabile, estroso, vulcanico. Allucinazioni e mondanità, ricordi e manie di persecuzione, invettive e piagnistei: le memorie del passato si scontrano con le impressioni di un’Italia sfigurata dal denaro e dal consumismo. Estremista e pessimista, aristocratico e sovversivo, sognatore e depresso, Ottieri si reinventa attraverso un’autodenigratoria e imprevedibile confessione in versi. Trascinante e ispirato, allinea una galleria di ritratti precisi, taglienti, ricchi di umori grotteschi. E, dall’alto della sua eccentricità, ispirato da una feroce saggezza, scaglia gli aforismi guizzanti con cui incenerisce terapie e ideologie, chiese e volgarità, costumi e malcostumi.

1991 > L’infermiera di Pisa (Garzanti) Premio Mondello 1991

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Rifugiato in clinica, il protagonista di questo poema in versi s’abbandona all’affabulazione e alla scrittura, per reagire a insofferenza e noia con un soprassalto vitalistico. Attizzata dal piacere ambiguo dell’autodenigrazione, tra dubbi e sdegni, rimpianti e ossessioni, impertinenze e sberleffi, si dipana la riflessione di chi ha conosciuto tutte le malattie della volontà: le varie qualità della sofferenza di un Io che alterna euforie e malinconie; nonché le possibili cure: quelle costruite “all’europea” sulla parola e sull’anima, come quelle fondate “americanamente” sulla chimica e sul corpo.

A illuminare le soffocanti camere d’ospedale e le grottesche fantasie di fuga, è l’infatuazione per una bella infermiera pisana: una passione impossibile e rabbiosa, in cui non manca una certa verità dongiovannesca. Ma questo inane furore erotico segna anche la scoperta del confine tra sanità e follia, e conduce alla denuncia, e insieme all’accettazione, della incolmabile distanza che separa il desiderio della mente dalla realtà dei sensi. Temprata da una dialettica esilarante e feroce, la mente riscoprirà se stessa : ingenua e perversa, pura e corrotta, lucida e tenera. Come unico fardello, le rimangono le fragili armi della sua redenzione: desiderio, ironia, poesia.

1988 > Vi amo (Einaudi)

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Dongiovanni infantile, “fiammella vanesia”, “cuore a cielo aperto” voglioso di perpetuo amore, l’io poetico di questo libro di Ottieri incrocia gli scatti della memoria con le immagini di un fragile presente. Ottieri distribuisce la sua affabulazione in un grappolo di “racconti” a tema che coivolgono il lettore in un nodo di opposizioni: padri e figli, Milano e Roma, il privato e il politico, il disincanto e l’elegia, l’ansia e la tenerezza, la sincerità della confessione e l’ambiguità del gioco letterario. Questi conflitti trovano i loro emblematici campioni in alcuni memorabili personaggi femminili, fantasticati e inseguiti sempre con il presentimento del distacco.

1987 > Improvvisa la vita (Bompiani)

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Ottieri prosegue nella sua personale enciclopedia dei miti d’oggi offrendoci una sorta di favola dal finale imprevedibile e amaro che si riflette a posteriori sull’intera vicenda la storia di Alberto, redattore di una casa editrice milanese, deciso a farsi piacere il proprio corpo oppresso dalla pancia. Ed ecco la Casa della Respirazione, un luogo incantato dove si svolgono i riti mondani della perfetta forma fisica.Bastano pochi chili e sboccia improvvisamente la vita. Alberto si innamora, proiettandosi in una nuova esistenza i cui sogni e progetti possono sbocciare felici quando…

1986 > Tutte le poesie (Marsilio)

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Insieme al Pensiero Perverso e alla Corda Corta riuniti, Marsilio pubblico anche ottanta nuove poesie raccolte con il titolo L’estinzione dello Stato e alcuni Versi adolescenziali. A quindici anni dal suo primo e sconvolgente incontro con la poesia, Ottieri si muove agile e leggero, libero nell’universo della poesia, sembra abbia scoperto quanto è larga e varia la tastiera della sua vena e provi con gioiosa sorpresa accordi sempre nuovi. Nelle nuove poesie accanto ai temi della nevrosi, della depressione e del disadattamento, ricompaiono i temi ideali e civili dei suoi primi libri, con disincantata passione, ma non senza autentica fede: “Utopia, unico ramo/ cui la mano si protende se non vuole /configgersi contro il proprio petto”.

1984 > Il divertimento (Bompiani)

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Alle soglie dei quarant’anni, una bellezza che comincia a svanire, un matrimonio fallito alle spalle, la voglia irrefrenabile di un amore appagante, totalizzante, vero. Deve guardarsi dall’insidia dell’alcool, dalle angosce che l’aggrediscono a ogni ora del giorno e della notte, da un distorto affetto per l’ex marito, dal bisogno continuo di trovarsi con qualcuno, a qualsiasi prezzo. Cerca di dare un senso alla vita correndo, freneticamente da un vernissage all’altro, da un incontro mondano all’altro, alla ricerca di un amore diverso, meraviglioso, che ha la certezza dei suoi sogni e che comunque non ha nulla a che fare con quello appena consumato.

Ecco dunque Clara e attorno a lei un marito rifugio, ex, avviato tra le braccia di un’indossatrice e infine un giovane imbianchino che sembra darle il sospirato amore che Clara cerca invano, ma che paga con una serie di guai la sua “trasgressione di classe”, il suo amore proibito. Anche quest’opera di Ottieri è una storia che nasce dalla nevrosi quotidiana e affonda i suoi colpi nell’anima dei personaggi, in particolare in quello di una Clara allucinata e ossessionata dalla sua stessa voglia di vivere, inevitabilmente frustrata da una fondamentale incapacità di riconoscersi come donna e come amante, in un mondo (o in un ambiente sociale?) vorticoso, che la trascina inconsciamente verso soluzioni provvisorie e confuse apparenze.

1983 > I due amori (Einaudi)

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“Una vocazione inquisitoria, indagatrice, una curiosità che gli dava la vita”, così è caratterizzato il protagonista de I due amori che combatte fittiziamente con le sue non realizzazioni, in una scomposizione dell’amore, quello per Caterina, compagna e moglie, quello per Tullia, ragazza ventenne drogata. Ma dalla storia raccontata da Ottieri col tono distaccato e pungente che è proprio del suo stile, ciò che traspare con chiarezza a ogni passo è la condizione forse più tipica di questi anni: l’incertezza amletica, l’indecisione che “inchioda l’uomo come lo spillo fissa la farfalla nella teca”. Su questo asse di equilibrio fatale di alternative non risolte, tra onnipotenza e debolezza, tra amare nessuno, amare tutti, si gioca l’unica possibilità conncessa alla vita, quella mediocre felicità, quella “normoforia”, qua e là punteggiata dall’euforia dell’amore.

1979 > Di chi è la colpa (Bompiani)

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Dialoghi in attesa o in affossamento del romanzo e della soluzione della sua crisi permanente, che però svolgono un’unica storia frammentaria, ma con un unico stampo. Il lettore si troverà di fronte a un personaggio sfaccettato il quale parla in tutti i dieci capitoli e suscita noccioli di personaggi nuovi e diversi, che il buon ritmo della battuta fa passare in un’accanita, divertente, successione scorrevole e legata. Formalmente i dialoghi stanno fra le “operette morali” e l’atto unico da teatro. Alcuni più corali come Il campo di distrazione, I dolori psicosomatici e Lo scrittore e il play-boy; alcuni strettamente a due, come l’erotico e svagante Il giovane artista e la giovane sindacalista.

Tematicamente l’ironia della disperazione e il far capolino della speranza sono forse ancora il filo che passa attraverso tutti i dialoghi e li cucie come cuciva i versi della Corda corta. Ma è un’ironia ragionata e ragionevole: essa tende a scoprire il posto dell’artista, uomo o donna, nel vivere attuale e nei suoi mali. La colpa di questi mali non si sa bene a chi e a che cosa attribuire in blocco (e ci si prova sempre): a difetti eterni dell’uomo, a un peggioramento dei suoi difetti, al diavolo, a una troppo timida ricerca di Dio, alla tecnologia, al cuore privato, alle disfunzioni del sesso, all’ingiustizia economica. In tutto il libro batte la domanda: di chi è la colpa?

1978 > La corda corta (Bompiani)

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Lungo e fulminante poemetto di forte impianto narrativo diviso in tre parti, lungo sermone in tre tempi, rivolto a un “malato giovinetto” che trascorre la sua vita di clinica in clinica, da una donna che teneramente lo insegue, ma anche lo irride. Il poeta Antonio Porta lo definì un “poemetto pariniano” che racconta la giornata del giovin signore nevrotico, del principino viziatissimo che sta in tutti i borghesi, e vi ha colto “un segnale fortissimo di volontà di cambiamento”. Accostare, sovrapporre, confondere il male e il vizio produce straordinari effetti espressivi, libera tutte le potenzialità dell’ironia di Ottieri, dà grandissima forza morale al suo discorrere in versi.

La Corda corta è un sermone morale, e tanto più rigorosamente e profondamente morale, quanto alieno ed estraneo a qualsiasi tentazione moralisticamente giudicante, da qualsiasi interpretazione sbrigativamente sociologica. Compiuto il periplo del mondo maligno della nevrosi giù giù fino all’annientamento di sé, il giovinetto si annuncia guarito: “Eccomi lucido, come / una foglia lavata dalla pioggia./ Eccomi come una verdissima foglia”. Ma è possibile guarire da un male irreale, è possibile uscire dalla spirale esistenziale? (Cesare De Michelis)

1976 > Contessa (Bompiani)

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E’ la storia della psicosociologa Elena Miuti, della sua malattia, l’ossessione depressiva, l’alcolismo e la speranza di riscatto che diventano altrettante tracce da seguire per disegnare la dolorosa precarietà dell’esistenza contemporanea, altrettanti enigmi a cui si deve dar risposta per raggiungere la guarigione e la quiete. Il romanzo e la sua protagonista si propongono come prove della volontà e della capacità di ricomporre in una visione complessiva i brandelli di un’esperienza tanto lacerante, quanto vissuta fino in fondo, e quindi raccontabile nella prosa limpidamente razionale e colloquiale di Ottieri. Ma l’andamento è da commedia, non da tragedia. Facendo coincidere la paziente e il terapeuta in un medesimo personaggio, un personaggio femminile, sofferenza e liberazione diventano materiali irresistibilmente comici.