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1972 > Il campo di concentrazione (Bompiani) Premio selezione Campiello 1972

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Romanzo registrazione su un’altra esperieza estrema dopo l’esplorazione della psiche resa patologicamente negatrice di se stessa, de Il pensiero perverso. Qui la scrittura è andata a collocarsi in quella zona ultima della malattia dove tutti i legami (emotivi, razionali, operativi) col mondo sono recisi, dove tutto tace, dove la vita psichica, ridotta a un residuo di una catastrofe totale, è pura persistente e immobile sofferenza. La malattia occupa tutta la scena, è l’unica realtà; e questa realtà è paradossalmente, il nulla. Perciò la scrittura diventa intransitiva, cerca solo se stessa, si sdoppia nello spasimo di una sopravvivenza, e disperatamente chiede di poter esistere e di poter parlare. Ma proprio così, nel nulla, accanto al nulla, al cospetto del nulla, si crea una voce e si istituisce uno sguardo che lo spia e lo esplora, che ne registra gli orrendi, taciti, notturni sommovimenti interni.

Vivissimo, tenace, implacabile, questo sguardo diventa “un mondo”: un mondo attraversato da un’intensità ad alto voltaggio, lacerato da tormenti morali ed estetici, vivificato da un irriduciile desiderio di vita, un mondo in cui si accendono le maschere grottesche e risibili del teatro della follia e in cui a poco a poco, anche, si ricostituiscono gli affetti e le emozioni comuni, in una nuova, precaria limpidezza, palpitanti e fragilissimi…. Perciò, come l’eventuale resoconto di un drogato dall’interno della droga, di un alcolizzato dall’interno dell’alcool, questo resoconto dall’interno del silenzio estremo, della “malattia mortale”, diventa per il lettore una concreta esperienza.

1971 > Il pensiero perverso (Bompiani)

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E’ un singolarissimo esempio di poesia non metaforica. L’autore comunica senza mediazioni la realtà negativa del proprio stato, di un modo d’essere succube e complice del pensiero ossessivo. Poesia non metaforica perché il poeta si ricalca sulla pagina: essere e parola devono immediatamente coincidere e le parole seguiranno fedelmente i ritmi dell’essere. “Pensiero perverso” va inteso in senso freudiano di “pensiero pervertito”, di perversione logica, cancro della funzione mentale che soffoca la funzione sentimentale o sessuale. Quando un autore, eseguendo gli ordini di un simile tiranno, entra quasi senza mediazioni nella propria opera, rischia tutto quanto possiede di sé e rischia soprattutto, di non uscire, per così dire tra gli altri, di non essere riconosciuto. Al contrario il personaggio di questo poemetto, ha la forza di divenire autonomo e di essere “tutti”. Approda quindi al polo opposto dell’autobiografia. L’ossesso del pensiero lo sentiamo camminare al nostro fianco e lo vediamo venirci incontro, figura reale del nostro essere e non-essere, dicotomia che la civiltà contemporanea rende sempre più evidente.

1968 > I divini mondani (Bompiani)

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Dopo la stagione della letteratura “industriale”, Ottiero Ottieri punta la sua attenzione sul mondo dorato dei favolosi anni Sessanta, e su un certo tipo di società, la cosiddetta “jet society” che confermata nei suoi privilegi e nella sua ricchezza preservava con ostinazione una scelta di vita deliberatamente effimera. Con intelligenza ironica e amara da imparziale voyeur, Ottieri pone la sua implacabile macchina da presa all’interno di questo mondo attraverso una cronaca diaristica minutissima tuttavia rapida e incalzante. Tra una battuta di caccia, una riunione di lavoro, amori non convincenti e più convincenti rituali mondani, ecco il diagramma di un mondo che allora sembrava “a parte”.

1966 > L’irrealtà quotidiana (Bompiani) Premio Viareggio 1966

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Ristampato nel giugno del 2004, a quattro decenni dalla sua pubblicazione, L’irrealtà quotidiana, scrive Giovanni Raboni nell’introduzione, non ha perso nulla della sua dirompente unicità, della sua strepitosa capacità di sconcertare il lettore. “Di che cosa esattamente si tratti fu questione non poco dibattuta nel corso di quel 1960 che vide, oltre alla comparsa del libro, anche il suo annunciato e tuttavia, alla resa dei conti, non incontrastato trionfo al premio Viareggio (….). Alla fine si fece strada la formula del ‘saggio romanzato’: definizione tutto sommato accettabile e, almeno in parte, tuttora utile a patto di rendersi conto che dopo i romanzi per così dire tradizionali e perfino vagamente neorealistici, pubblicati da Ottieri prima d’allora, L’irrealtà quotidiana ha segnato per lui una svolta decisiva, un autentico punto di non ritorno. Da quel momento in poi, voglio dire, nessuno dei suoi libri (….) sarebbe più stato classificabile dentro un unico genere.” Sono parole che segnalano il carattere davvero cruciale di una delle opere più controverse e significative di Ottiero.

1964 > L’impagliatore di sedie (Bompiani)

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Dopo Tempi Stretti, Donnarumma all’assalto e La linea gotica che ci hanno fatto conoscere in profondità quale fu il mutamento del costume italiano, gerghi e immaginario collettivo, dopo il cosiddetto miracolo economico degli anni Sessanta, un romanzo d’amore. Nell’autoprefazione al libro, Ottieri scrive: ”Questo libro dovrebbe segnare un primo riaffacciarsi dai capannoni della sociologia industriale ( i romanzi precedenti legati direttamente ai temi della vita industriale) e della lotta sindacale alle camere morbide dell’erotica e della lotta sessuale, segnalando pure la mia “neomondializzazione”, dopo anni di aziendale castità letteraria e riprendendo alcuni fili del mio primo libro Memorie dell’incoscienza… Accanto a una vicenda d’amore è spuntata in questo libro e si è ingrandita a danno di essa una vicenda di semifollia… Di nuovo mi smondanizzo nell’angoscia e nei sottili riconoscimenti teorici delle stratificazioni sociali: forse la storia d’amore resta per me l’inarrivabile traguardo d’un uomo e di una società utopisticamente guariti.”

1962 > La linea Gotica (Bompiani) Premio Bagutta 1963

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Scritto negli anni Cinquanta, gli anni di un’Italia già in odore di boom, intenta a una ricostruzione febbrile, La linea gotica è una sorta di diario privato rivissuto in pubblico, un urgente e teso svilupparsi di riflessioni, racconti, esperienze personali che abbracciano un intero decennio, sollevando interrogativi esistenziali e sociali ancora profondamente attuali. E’ un libro che “deve essere letto oggi”, come annota Furio Colombo nella prefazione, una storia dell’Italia del dopoguerra in cui l’autore cerca soprattutto le angosce irrisolte e i tormenti taciuti. E l’analisi intellettuale di Ottieri non accetta di essere pura riflessione: esige l’immersione nel mondo della fabbrica, delle periferie, delle manifestazioni operaie di piazza; e chiede alla scrittura un’energia nuova e quasi feroce, che possa irrompere nella realtà e modificarla, abbattendone tutti i muri.

1959 > Donnarumma all’assalto (Bompiani)

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“Donnarumma all’assalto è un romanzo reportage in anticipo sui tempi, un tentativo di capire la realtà senza stravolgerla nella nebbia della fantasticheria estetica, ma anche senza cedere all’illusione di poterla descrivere “com’è”. “Così scrive Giuseppe Montesano nella prefazione all’ultima ristampa (l’ottava) di Donnarumma, il libro di Ottieri più famoso. Siamo nell’Italia del sud, alla fine degli anni Cinquanta. Una grande azienda del nord ha deciso di impiantare una nuova fabbrica nel cuore del Mezzogiorno. Deve selezionare il personale adatto e per questo ha incaricato uno psicologo che sottoponga i candidati a una “valutazione psicotecnica”. Nel suo diario, lo psicologo registra l’esito del suo lavoro che si fa via via più coinvolto e commosso, fino a trasformarsi in una vera e propria partecipazione al dramma dei disperati che si aggrappano al miraggio del posto di lavoro per liberare se stessi e le loro famiglie dalla miseria. E lui che, invece, per dovere professionale, deve decidere il destino di ognuno di loro.