Per la prima volta in un unico volume sono raccolti i poemetti Vi amo, L’infermiera di PIsa, Il Palazzo e il Pazzo. Prefazione di Valerio Magrelli.
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2009 > Opere scelte (Meridiani, Mondadori)
Il “Meridiano” dedicato a Ottiero Ottieri, a cura di Giuseppe Montesano, Cristina Nesi, Maria Pace Ottieri, propone sei opere, scelte tra le molte del suo catalogo, tra prosa e poesia, mischiando generi e forme, nel cuore di una ricerca stilistica personalissima. Sfilano quindi: Donnarumma all’assalto, La linea gotica, L’irrealtà quotidiana, Contessa, Il poema osceno e Cery, titoli che vanno dal 1959 al 1999, delineando un quarantennio di una presenza, appartata eppure nitidissima, nella letteratura italiana postbellica.
2002 > Un’irata sensazione di peggioramento (Guanda)
Milano-Torino e ritorno: un tratto di autostrada che si snoda tra le risaie, un nastro d’asfalto percorso con angoscia e orrore, altre volte con flebile speranza, dallo scrittore Pietro Mura, alcolista in preda a ricorrenti crisi depressive, intellettuale impaziente, duro con se stesso e con la realtà politico-economica che lo circonda. A un estremo dell’anello la “capitale immorale” Milano, governata unicamente dall’”anima” del commercio e del profitto, oppressa da cieli plumbei e uniformi, stagnante. Dall’altro invece Torino, cieli alti e luminosi, in cui trova un nuovo medico e la speranza di una nuova cura, nella quale riconosce anche una possibile storia d’amore. Su questo percorso di andate e ritorni, ossessivamente circolare, si snoda la vicenda esile e intensa di una guarigione forse impossibile, che a volte pare addirittura non necessaria, tanta è invece l’urgenza che il racconto attribuisce alla ricerca delle radici della malattia.
Su tutto si fa strada in modo impercettibile ma inesorabile, la sensazione che la follia e l’ossessione appartengano prima di tutto al mondo e alla cronaca, che ci siano ragioni politiche e sociali più forti ancora di quelle interiori, che violenza e caos siano soli il lascito amaro di un paese illiberale, di logiche di mercato inumane eppure apparentemente da tutti condivise. E’ l’ultimo libro di Ottieri, un libro estremo e forse terribile: nella precisione meticolosa con cui scandaglia il male del suo protagonista, nella scrittura aspra e affilata che detta i ritmi compulsivi della circolarità e della dipendenza, riconosciamo non solo il suo disagio interiore ma anche il nostro difficile sopravvivere in un paese in cui la barbarie si presenta con il volto dell’ovvio, dell’inevitabile; e la sua analisi è spietatamente verticale, giunge al cuore della banalità, della fatica individuale e collettiva, ne esplora i silenzi e le paure, lascia quasi con terrore che ne emergano le contraddizioni e ci consegna infine il profilo livido di una quotidianità allucinata.
1999 > Cery (Guanda)
La necessità, la sofferta urgenza che scandisce le pagine di questo libro è la lucida consapevolezza che la depressione provoca la massima delle sofferenze mentali ed è al contempo, anche sofferenza fisica e come tale viene pienamente vissuta da chi ne è colpito. Ma c’è anche altro, una sorpresa che nasce fuori dalla pagina, nella lettura di un libro così intenso e partecipe: lo stupore di chi è “normale” nell’accorgersi che non c’è compiacimento del dolore in chi si porta dentro il ‘male oscuro’, al contrario, c’è la voglia, la fretta di guarire cui fa eco un insopprimibile desiderio di vivere.
Ad accompagnare il lettore in questo territorio di confine è il protagonista del libro, un intellettuale milanese di mezza età, alcolista, che si trova ‘rinchiuso’ in un ospedale svizzero per seguire un programma che lo liberi e che lo aiuti a placare l’ansia, l’angoscia cui egli applica la solita autocura sbagliata e quindi tragica, l’alcol.Intorno a lui ci sono i medici e gli altri pazienti, soprattutto donne, specialmente le donne che su di lui esercitano attrazione. Della loro vita vorrebbe sapere tutto: i desideri, gli amori, le delusioni e un istinto che non può domare lo spinge a iniziare un gioco di seduzione che segnerà l’inizio di una serie di imprevisti amorosi.
1998 > Una tragedia milanese (Guanda)
Milano, una città dal cielo finto, dove il lavoro stabilisce i ritmi e le forme della vita di tutti e dove le ideologie dono “puri scontri di interessi economici”. E’ su questo sfondo che si rincorrono che si muovono i personaggi, tragici e grotteschi, di “Una tragedia milanese”. La figura centrale è Antonio, il professore, un amoroso chirurgo estetico, anziano, ma ancora attraente. E intorno ci sono tutti gli altri, uomini e donne che entrano ed escono velocemente dalla scena intrecciando tra loro fitti dialoghi, quasi in forma di teatro. Tutti sembrano obbedire a una sola necessità: parlare per evitare il silenzio, come a volere esorcizzare la paura del tempo che passa.
Discorsi che fluttuano intorno alle cose senza mai riuscire veramente a toccarle, perché questi personaggi stentano a costruire relazioni profonde e sono capaci di stabilire solo contatti rapidi, lievi, sarcastici come il loro parlare. I temi che Ottieri tratta nei suoi libri e che ritroviamo in queste pagine, sono occasioni per riflettere sul rapporto fra sesso, malattia e morte. Ma l’esito più felice di questo romanzo è quello poetico; è nel ritratto, intenso e partecipe che lo scrittore fa di un certo mondo, un mondo su cui incombe una luce livida e malinconica.
1997 > De morte (Guanda)
“Il pensiero della morte è un sintomo tipico del pensiero della depressione”, scrive Ottieri all’inizio del libro, “ma il senso della morte è il più indispensabile al senso della vita.” La frase potrebbe essere presa a motto per questa esplorazione di un sentimento individuale e allo stesso tempo di un universo molto ampio di pensiero, di meditazione religiosa, di elaborazione psicologica e filosofica. La malattia attraversata da Ottieri è diventata occasione e necessità di riflessione sul tema della morte, di confronto (impervio e appassionato) con le posizioni della psicoanalisi, della psichiatria, della medicina più avanzata, la “componente scientista”. Che a Ottieri non basta.
“Ogni scheggia di morte rimbalza su Dio”, scrive. Il saggio di Ottieri (che nella seconda parte concede largo spazio a uno svolgimento narrativo, come impone la vocazione dell’autore), comprende a questo punto anche un dialogo con uomini di religione e teologi: e ci invita così a considerare il problema sotto ogni possibile aspetto, ad avvicinarlo sulla base del vissuto e della cultura laica, ma anche in rapporto a quella dimensione metafisica che forse rispecchia il nostro sentire più profondo.
1996 > Il poema osceno (Longanesi)
Il protagonista è un maturo poeta cui piacciono i ragazzi e le ragazze, un bisessuale insomma, che non vuole scegliere e vive a tutto campo, a 360°. Vuol possedere tutto il mondo e “il mondo è tutto ciò che accade”. Nella prima parte del romanzo convive con Flavio, un giovane intelligente, ma con disturbi della personalità, cioè sessuali; nella seconda con Samantah, una stupenda giovinetta che studia troppo e non trova il tempo per dare gli esami. E’ prolissa nel parlare e gli uomini cercano di zittirla con mezzi appropriati. Il maturo poeta ha il pensiero e il corpo nell’al di qua e nell’al di là. Nella varietà (è onnipotente) e in due fissazioni: il sesso e la propria morte, destinata a venire, presto o tardi. Fustigatore e istigatore, Ottieri diletta e sconvolge, provoca, scandalizza, lusinga e ferisce, dando prova della sua “globale “maturità come narratore e poeta, in un romanzo fluviale, di oltre cinquecento pagine, sapiente intreccio di dialoghi filosofici e versi erotici e civili.
1994 > Il diario del seduttore passivo (Giunti)
Cinque poemetti: Monica Dreyfuss, Lo psicoterapeuta perfetto malgrado lui, Sotto il mantello della rivalità e dell’autostima e Il seduttore passivo, altrettanti capitoli di un’autobiografia romanzesca in versi , tinti di comicità e dolore. Una voce roca e ilare, stentata e vivace, sempre intonata, che fonde un’esperienza stilistica la cui radice è nella grande satira dell’Occidente, Orazio, Molière, Parini, con la propria capacità di autoanalisi per cui scrivendo esce ed entra dal fuoco delle proprie turbe.
1994 > La psicoterapeuta bellissima (Guanda)
Una prima parte teatrale, a più voci che si intersecano e si affollano sui temi del rapporto fra sesso, malattia e morte e una seconda, più vasta, in cui riprende tutto il suo spazio quella voce monologante dalla irripetibile misura, comica e drammatica, tenera e sboccata, parodica e serissima che è tipica dell’Ottieri poeta. E’una voce di “pazzia specializzata”, di una pazzia che non soltanto ha metodo nell’accusare “il tremendo, mortale /uppercut del reale”, ma che fa apparire alla fine la ragione come nient’altro che una sua astuzia. Soltanto una pazzia così può può regalare ai lettori versi irresistibili come quelli in cui il protagonista frequenta cene mondane e abbozza avventure erotico-galanti, con le “guardie del corpo”, custodi, carcerieri, infermieri, complici sempre al seguito; o dà indicazioni così minuziosamente pertinenti su che cosa può sostitiuire il vino o su che cosa può annegare il dolore, nel sospetto che ad essere intollerabile non sia il dolore ma “la menoma/sfumatura di gioia”.
1993 > Storia del PSI nel centenario della nascita (Guanda)
E’ un salto ulteriore nel percorso di Ottieri perché vi si affronta con il tema della cronaca politica, una tappa inattesa e distante dalle precedenti. Se nelle altre opere campeggiava l’immagine di una nevrosi sfibrante, in quest’ultima regnano le figure del partito e del padre. Regnano, scrive Valerio Magrelli nel risvolto di copertina, come l’autorità può regnare in Ottieri, ossia con compassione, ironia, nostalgia. E ancora “Quasi per vasi comunicanti l’ingorgo analitico si risolve in disagio sociale e viceversa, il collasso del partito si traduce in crisi d’identità personale.” Il padre, il secondo poemetto, prolunga questo monologo sghembo e torrenziale, toccando alcuni dei punti più alti mai raggiunti da Ottieri nei suoi versi.