1986 > Tutte le poesie (Marsilio)

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Insieme al Pensiero Perverso e alla Corda Corta riuniti, Marsilio pubblico anche ottanta nuove poesie raccolte con il titolo L’estinzione dello Stato e alcuni Versi adolescenziali. A quindici anni dal suo primo e sconvolgente incontro con la poesia, Ottieri si muove agile e leggero, libero nell’universo della poesia, sembra abbia scoperto quanto è larga e varia la tastiera della sua vena e provi con gioiosa sorpresa accordi sempre nuovi. Nelle nuove poesie accanto ai temi della nevrosi, della depressione e del disadattamento, ricompaiono i temi ideali e civili dei suoi primi libri, con disincantata passione, ma non senza autentica fede: “Utopia, unico ramo/ cui la mano si protende se non vuole /configgersi contro il proprio petto”.

1984 > Il divertimento (Bompiani)

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Alle soglie dei quarant’anni, una bellezza che comincia a svanire, un matrimonio fallito alle spalle, la voglia irrefrenabile di un amore appagante, totalizzante, vero. Deve guardarsi dall’insidia dell’alcool, dalle angosce che l’aggrediscono a ogni ora del giorno e della notte, da un distorto affetto per l’ex marito, dal bisogno continuo di trovarsi con qualcuno, a qualsiasi prezzo. Cerca di dare un senso alla vita correndo, freneticamente da un vernissage all’altro, da un incontro mondano all’altro, alla ricerca di un amore diverso, meraviglioso, che ha la certezza dei suoi sogni e che comunque non ha nulla a che fare con quello appena consumato.

Ecco dunque Clara e attorno a lei un marito rifugio, ex, avviato tra le braccia di un’indossatrice e infine un giovane imbianchino che sembra darle il sospirato amore che Clara cerca invano, ma che paga con una serie di guai la sua “trasgressione di classe”, il suo amore proibito. Anche quest’opera di Ottieri è una storia che nasce dalla nevrosi quotidiana e affonda i suoi colpi nell’anima dei personaggi, in particolare in quello di una Clara allucinata e ossessionata dalla sua stessa voglia di vivere, inevitabilmente frustrata da una fondamentale incapacità di riconoscersi come donna e come amante, in un mondo (o in un ambiente sociale?) vorticoso, che la trascina inconsciamente verso soluzioni provvisorie e confuse apparenze.

1983 > I due amori (Einaudi)

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“Una vocazione inquisitoria, indagatrice, una curiosità che gli dava la vita”, così è caratterizzato il protagonista de I due amori che combatte fittiziamente con le sue non realizzazioni, in una scomposizione dell’amore, quello per Caterina, compagna e moglie, quello per Tullia, ragazza ventenne drogata. Ma dalla storia raccontata da Ottieri col tono distaccato e pungente che è proprio del suo stile, ciò che traspare con chiarezza a ogni passo è la condizione forse più tipica di questi anni: l’incertezza amletica, l’indecisione che “inchioda l’uomo come lo spillo fissa la farfalla nella teca”. Su questo asse di equilibrio fatale di alternative non risolte, tra onnipotenza e debolezza, tra amare nessuno, amare tutti, si gioca l’unica possibilità conncessa alla vita, quella mediocre felicità, quella “normoforia”, qua e là punteggiata dall’euforia dell’amore.

1979 > Di chi è la colpa (Bompiani)

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Dialoghi in attesa o in affossamento del romanzo e della soluzione della sua crisi permanente, che però svolgono un’unica storia frammentaria, ma con un unico stampo. Il lettore si troverà di fronte a un personaggio sfaccettato il quale parla in tutti i dieci capitoli e suscita noccioli di personaggi nuovi e diversi, che il buon ritmo della battuta fa passare in un’accanita, divertente, successione scorrevole e legata. Formalmente i dialoghi stanno fra le “operette morali” e l’atto unico da teatro. Alcuni più corali come Il campo di distrazione, I dolori psicosomatici e Lo scrittore e il play-boy; alcuni strettamente a due, come l’erotico e svagante Il giovane artista e la giovane sindacalista.

Tematicamente l’ironia della disperazione e il far capolino della speranza sono forse ancora il filo che passa attraverso tutti i dialoghi e li cucie come cuciva i versi della Corda corta. Ma è un’ironia ragionata e ragionevole: essa tende a scoprire il posto dell’artista, uomo o donna, nel vivere attuale e nei suoi mali. La colpa di questi mali non si sa bene a chi e a che cosa attribuire in blocco (e ci si prova sempre): a difetti eterni dell’uomo, a un peggioramento dei suoi difetti, al diavolo, a una troppo timida ricerca di Dio, alla tecnologia, al cuore privato, alle disfunzioni del sesso, all’ingiustizia economica. In tutto il libro batte la domanda: di chi è la colpa?

1978 > La corda corta (Bompiani)

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Lungo e fulminante poemetto di forte impianto narrativo diviso in tre parti, lungo sermone in tre tempi, rivolto a un “malato giovinetto” che trascorre la sua vita di clinica in clinica, da una donna che teneramente lo insegue, ma anche lo irride. Il poeta Antonio Porta lo definì un “poemetto pariniano” che racconta la giornata del giovin signore nevrotico, del principino viziatissimo che sta in tutti i borghesi, e vi ha colto “un segnale fortissimo di volontà di cambiamento”. Accostare, sovrapporre, confondere il male e il vizio produce straordinari effetti espressivi, libera tutte le potenzialità dell’ironia di Ottieri, dà grandissima forza morale al suo discorrere in versi.

La Corda corta è un sermone morale, e tanto più rigorosamente e profondamente morale, quanto alieno ed estraneo a qualsiasi tentazione moralisticamente giudicante, da qualsiasi interpretazione sbrigativamente sociologica. Compiuto il periplo del mondo maligno della nevrosi giù giù fino all’annientamento di sé, il giovinetto si annuncia guarito: “Eccomi lucido, come / una foglia lavata dalla pioggia./ Eccomi come una verdissima foglia”. Ma è possibile guarire da un male irreale, è possibile uscire dalla spirale esistenziale? (Cesare De Michelis)

1976 > Contessa (Bompiani)

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E’ la storia della psicosociologa Elena Miuti, della sua malattia, l’ossessione depressiva, l’alcolismo e la speranza di riscatto che diventano altrettante tracce da seguire per disegnare la dolorosa precarietà dell’esistenza contemporanea, altrettanti enigmi a cui si deve dar risposta per raggiungere la guarigione e la quiete. Il romanzo e la sua protagonista si propongono come prove della volontà e della capacità di ricomporre in una visione complessiva i brandelli di un’esperienza tanto lacerante, quanto vissuta fino in fondo, e quindi raccontabile nella prosa limpidamente razionale e colloquiale di Ottieri. Ma l’andamento è da commedia, non da tragedia. Facendo coincidere la paziente e il terapeuta in un medesimo personaggio, un personaggio femminile, sofferenza e liberazione diventano materiali irresistibilmente comici.

1972 > Il campo di concentrazione (Bompiani) Premio selezione Campiello 1972

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Romanzo registrazione su un’altra esperieza estrema dopo l’esplorazione della psiche resa patologicamente negatrice di se stessa, de Il pensiero perverso. Qui la scrittura è andata a collocarsi in quella zona ultima della malattia dove tutti i legami (emotivi, razionali, operativi) col mondo sono recisi, dove tutto tace, dove la vita psichica, ridotta a un residuo di una catastrofe totale, è pura persistente e immobile sofferenza. La malattia occupa tutta la scena, è l’unica realtà; e questa realtà è paradossalmente, il nulla. Perciò la scrittura diventa intransitiva, cerca solo se stessa, si sdoppia nello spasimo di una sopravvivenza, e disperatamente chiede di poter esistere e di poter parlare. Ma proprio così, nel nulla, accanto al nulla, al cospetto del nulla, si crea una voce e si istituisce uno sguardo che lo spia e lo esplora, che ne registra gli orrendi, taciti, notturni sommovimenti interni.

Vivissimo, tenace, implacabile, questo sguardo diventa “un mondo”: un mondo attraversato da un’intensità ad alto voltaggio, lacerato da tormenti morali ed estetici, vivificato da un irriduciile desiderio di vita, un mondo in cui si accendono le maschere grottesche e risibili del teatro della follia e in cui a poco a poco, anche, si ricostituiscono gli affetti e le emozioni comuni, in una nuova, precaria limpidezza, palpitanti e fragilissimi…. Perciò, come l’eventuale resoconto di un drogato dall’interno della droga, di un alcolizzato dall’interno dell’alcool, questo resoconto dall’interno del silenzio estremo, della “malattia mortale”, diventa per il lettore una concreta esperienza.

1971 > Il pensiero perverso (Bompiani)

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E’ un singolarissimo esempio di poesia non metaforica. L’autore comunica senza mediazioni la realtà negativa del proprio stato, di un modo d’essere succube e complice del pensiero ossessivo. Poesia non metaforica perché il poeta si ricalca sulla pagina: essere e parola devono immediatamente coincidere e le parole seguiranno fedelmente i ritmi dell’essere. “Pensiero perverso” va inteso in senso freudiano di “pensiero pervertito”, di perversione logica, cancro della funzione mentale che soffoca la funzione sentimentale o sessuale. Quando un autore, eseguendo gli ordini di un simile tiranno, entra quasi senza mediazioni nella propria opera, rischia tutto quanto possiede di sé e rischia soprattutto, di non uscire, per così dire tra gli altri, di non essere riconosciuto. Al contrario il personaggio di questo poemetto, ha la forza di divenire autonomo e di essere “tutti”. Approda quindi al polo opposto dell’autobiografia. L’ossesso del pensiero lo sentiamo camminare al nostro fianco e lo vediamo venirci incontro, figura reale del nostro essere e non-essere, dicotomia che la civiltà contemporanea rende sempre più evidente.

1968 > I divini mondani (Bompiani)

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Dopo la stagione della letteratura “industriale”, Ottiero Ottieri punta la sua attenzione sul mondo dorato dei favolosi anni Sessanta, e su un certo tipo di società, la cosiddetta “jet society” che confermata nei suoi privilegi e nella sua ricchezza preservava con ostinazione una scelta di vita deliberatamente effimera. Con intelligenza ironica e amara da imparziale voyeur, Ottieri pone la sua implacabile macchina da presa all’interno di questo mondo attraverso una cronaca diaristica minutissima tuttavia rapida e incalzante. Tra una battuta di caccia, una riunione di lavoro, amori non convincenti e più convincenti rituali mondani, ecco il diagramma di un mondo che allora sembrava “a parte”.

1966 > L’irrealtà quotidiana (Bompiani) Premio Viareggio 1966

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Ristampato nel giugno del 2004, a quattro decenni dalla sua pubblicazione, L’irrealtà quotidiana, scrive Giovanni Raboni nell’introduzione, non ha perso nulla della sua dirompente unicità, della sua strepitosa capacità di sconcertare il lettore. “Di che cosa esattamente si tratti fu questione non poco dibattuta nel corso di quel 1960 che vide, oltre alla comparsa del libro, anche il suo annunciato e tuttavia, alla resa dei conti, non incontrastato trionfo al premio Viareggio (….). Alla fine si fece strada la formula del ‘saggio romanzato’: definizione tutto sommato accettabile e, almeno in parte, tuttora utile a patto di rendersi conto che dopo i romanzi per così dire tradizionali e perfino vagamente neorealistici, pubblicati da Ottieri prima d’allora, L’irrealtà quotidiana ha segnato per lui una svolta decisiva, un autentico punto di non ritorno. Da quel momento in poi, voglio dire, nessuno dei suoi libri (….) sarebbe più stato classificabile dentro un unico genere.” Sono parole che segnalano il carattere davvero cruciale di una delle opere più controverse e significative di Ottiero.