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RECENSIONI

DONNARUMMA ALL’ASSALTO (1959)

DONNARUMMA ALL’ASSALTO
di Carlo Salinari
(«Il Contemporaneo», luglio 1959)

[...] Alla tematica operaia ci riporta il nuovo romanzo di Ottiero Ottieri Donnarumma all’assalto,
Milano, Bompiani, 1959, ma questa volta non si tratta, come in Tempi stretti, della condizione operaia
a cui fa da sfondo senza contraddizione lo squallido paesaggio della periferia milanese.
Questa volta la fabbrica è la nuova Olivetti, impiantata nei pressi di Napoli, in edifici modernissimi e
razionali, con lo sfondo del cielo e del mare meridionali. Il giovane psicotecnico addetto alle assunzioni
si trova di fronte a un problema che la sua scienza non prevede: quarantamila domande per poche
centinaia di posti. Non si tratta, quindi, di vagliare le capacità e le tendenze di un ristretto gruppo di
operai, si tratta di sottoporre all’esame psicotecnico un popolo intero. Di qui e attraverso l’esperienza
umana che si accumula man mano che lo specialista procede nel suo lavoro, la rappresentazione delle
contraddizioni di una società e dei drammi individuali dei disoccupati del mezzogiorno. Non è il caso,
in una rapida rassegna, passare ad analisi approfondita del romanzo.
Ottiero Ottieri è uno scrittore che merita un discorso a parte per le caratteristiche stesse della
problematica e per l’intreccio complicato che in lui si realizza, di una denuncia assai sofferta e di
istanze ideologiche non sempre chiare. Resta il fatto che Donnarumma all’assalto ci ripropone, dopo
Tempi stretti, il problema di un giovane narratore assai dotato, della sua tematica straordinariamente
viva e originale, di un’arte, insomma, con cui bisognerà fare i conti.


DONNARUMMA ALL’ASSALTO
di Ferdinando Virdia
(«La Fiera Letteraria», 26 luglio 1959)

[...] Dell’Ottieri l’editore Bompiani ha pubblicato di recente un nuovo romanzo che riprende da un altro
angolo di visuale (rispetto a Tempi Stretti) gli stessi problemi fondamentali del rapporto fra l’uomo e le
strutture industriali del nostro tempo. Rapporto individuale e rapporto psicologico collettivo:
Donnarumma all’assalto. Condotto in forma di diario esso è chiaramente la testimonianza di
un’esperienza anche più diretta dello scrittore che non fosse il libro precedente e se il titolo non
rivelasse l’esplicita indicazione dell’Ottieri che il libro debba essere letto come un vero e proprio
romanzo, si potrebbe dubitare persino, ma a torto, di trovarci davanti a un puro e semplice studio di
taluni aspetti della società italiana contemporanea, quelli delle reazioni di una zona industrialmente ed
economicamente sottosviluppata nella sua prima fase di trasformazione moderna delle sue risorse e
delle possibilità di occupazione. Protagonista e diarista del romanzo è probabilmente un alter ego dello
stesso autore, un giovane dirigente dell’ufficio che nelle grandi industrie esamina le attitudini
psicologiche di coloro che aspirano ad essere assunti come operai o come impiegati. Lo stabilimento è
stato impiantato da poco in un popolosissimo centro marittimo del Mezzogiorno.
La scelta degli uomini e delle donne da assumere viene compiuta secondo regole inderogabili dopo un
esame delle attitudini di ciascun candidato: assai scarsa in questo senso è l’autonomia dell’operatore
psicologico, il suo giudizio quasi impersonale. Ma di fronte a lui e contro di lui preme la classe degli
aspiranti, ciascuno con problemi personali che rivelano il segno di condizioni particolarissime di vita,
di un individualismo che è assai difficile riportare agli schemi psicologici rigidamente prefissati dagli
studiosi di relazioni umane, così come è difficile riportare agli schemi psicologici del mondo
industriale e operaio settentrionale l’estrema varietà delle situazioni professionali di coloro che
l’ambiente ha condizionato a una sorta di eclettismo sociale.
[...] La fabbrica, la grande fabbrica colpisce soprattutto la fantasia, è l’immagine di un benessere a
portata di mano, visibile ogni giorno in coloro che in essa sono occupati, e soprattutto di un
benessere sicuro; e tuttavia ben pochi di quegli aspiranti si rende conto di come la fabbrica esiga da
loro una trasformazione del loro stesso modo di pensare e agire. [...] Il dramma è appunto in questa
impossibilità di un rapporto storico diverso tra l’uomo del sud e le esigenze del suo nuovo sviluppo
industriale, così come esse sono prospettate dagli schemi attuali e il giovane psicologo è la prima
vittima di questo dramma di fronte al quale non può nulla la sua comprensione e la sua pietas. Da tutto
il diario ci si rende conto come egli imposti il suo particolare problema come un vero e proprio
problema morale e nel dramma individuale e collettivo degli aspiranti al lavoro quello stesso della
libertà dell’uomo moderno di fronte alla tirannia inderogabile, perché appunto il problema non si
risolve con la negazione qualunquistica delle esigenze industriali.
La tradizione industriale e operaia delle zone non depresse, con tutte le sue ormai istintive implicazioni
psicologiche è il frutto di condizioni storiche che non si sono create da un giorno all’altro; ma è
possibile tollerare in una nazione uno squilibrio così angoscioso come quello che si presenta nell’Italia
di oggi? E ‘ questo l’interrogativo che circola in tutto il romanzo dell’Ottieri, un romanzo “corale” nel
senso più ampio e più vero di questo aggettivo, nel senso cioè che lo scrittore non ha impostato soltanto
questi problemi in senso sperimentale e saggistico. L’esperienza del sociologo si inserisce
profondamente, è vero, non solo nella scoperta di un mondo e di una società e di contrasti che sono tra i
più angosciosi del nostro tempo, ma direi che essa è la leva che sorregge e solleva la fantasia dello
scrittore. Si è parlato di una sorta di pietas del suo diarista: è appunto una tale attitudine a creare le
prospettive, anche di linguaggio, compiutamente narrative dei singoli “casi” che egli riporta nel suo
diario. Il conflitto, il dramma individuale diventano alla fine conflitto, dramma collettivo, una sorta di
perenne attrito del paese contro lo stabilimento, una perenne rivendicazione del primo contro il
secondo, ed è chiara comunque l’impossibilità di trovare una soluzione. Ma occorre anche aggiungere
che la sua pietas non è mai la testimonianza di una sua accettazione del pittoresco sociale e
sentimentale, tipicamente meridionale, una sorta di abbandono all’immagine, alla sensazione.
Donnarumma all’assalto, essa invece è piuttosto l’espressione di una nuova possibilità di impostazione
di quella narrativa meridionale che troppo spesso negli ultimi anni si è limitata alla sterile protesta
letteraria. Forse il suo difetto è in un’intrinseca difficoltà di una vera e propria presa di posizione dello
scrittore di fronte al conflitto. Èimportante tuttavia che egli abbia messo a fuoco questi nuovi problemi
che saranno forse domani i veri problemi della condizione e della vita meridionale.


OTTIERI E IL ROMANZO
di Arnaldo Bocelli
(«Il Mondo», 6 ottobre 1959)

[...] Al romanzo Tempi Stretti si ricollega Donnarumma all’assalto (Bompiani), ambientato anch’esso
in una fabbrica, esemplare per modernità di attrezzature e razionale bellezza di costruzione, impiantata
da una grande industria del Nord su una popolosa spiaggia del Sud (si tratta evidentemente della
Olivetti di Pozzuoli), anche per avviare a soluzione, seppure in misura minima, il problema, cronico,
della disoccupazione meridionale. E il motivo dominante è appunto il contrasto fra la serenità
dell’ambiente e del lavoro che i molti operai che vi svolgono, e il drammadei loro compaesani che
fanno ressa di fuori, per essere assunti, e vengono invece per necessità di cose, respinti dopo lunghi
esami psicotecnici. Motivo cui si intreccia quello, più vasto e ambizioso, della industrializzazione del
Mezzogiorno, tentata dai “settentrionali” fra l’indifferenza o il sospetto dei “meridionali”, desiderosi, e
ben capaci, di lavorare ma tuttavia come invischiati da una “storica” abitudine alla disoccupazione.
Ora, per seguire più da vicino questi temi, Ottieri ha creduto opportuno di dare al suo racconto la forma
del diario, che finge tenuto dal capo del personale (un personaggio per più versi autobiografico),
umanissimo con i respinti, anche quando, come il Donnarumma del titolo, si mostrano violenti o ribelli.
Senonchè cotesta forma, se in certo senso giustifica la discontinuità del flusso narrativo, non dissimula,
anzi, più che mai sottolinea quel dualismo, specialmente dove, più affiorando il secondo tema, indulge
a veri e propri modi saggistici. Nato da un’esperienza eccezionale, il libro insomma non sa rinunciare a
sfaccettare, descrivere e analizzare questa eccezionalità: con risultati spesso illuminanti, sul piano della
documentazione storica, ma pregiudizievoli ai fini di una rappresentazione o visione poetica di quel
mondo in lenta evoluzione. Ancora una volta quel che manca è il romanzo, come intima compagine e
circolarità di respiro. Eppure delle qualità artistiche di Ottieri sono sicura testimonianza alcuni ritratti di
disoccupati, alcune scene di un bel rilievo drammatico e quasi tutte le notazioni di paesaggio, intense
nella loro sobrietà. Ma quel che soprattutto ci conferma nella fiducia per il suo avvenire, è quel tentare
una tematica nuova, tutta sua; è la volontà, e capacità, di liberarsi da ogni vistoso residuo di
neorealismo, daal quale ha pur preso le mosse (la sua scrittura è scorrevole senza sciatterie, il dialogo
parlato senza ibridismi dialettali), è la profonda serietà delle sue istanze morali e sociali.


QUELLA DOMANDA SENZA RISPOSTA
di Silvio Perrella
(«Corriere del Mezzogiorno», 3 marzo 1999)

Donnarumma all’assalto (1959) ha la forma di un diario: da marzo a novembre vengono scanditi i
tempi di un’esperienza e l’esperienza è subito detta: un uomo che viene dal Nord dell’Italia passa alcui
mesi della sua vita in una città del Sud. Quest’uomo è in una posizione particolare: per lavoro deve
elezionare, usando i metodi della psicotecnica, gli operai da assumere in una nuova fabbrica. E dunque
ha subito un rapporto con gli autoctoni. Un rapporto privo dei soliti pregiudizi. La fabbrica non è una
delle solite: sorge di fronte al mare ed è rispettosa del paesaggio. E anche l’azienda che le ha dato vita è
a dir poco anomala, portatrice com’è di un ‘utopia sociale che si vuole realizzabile. E non è finita,
perché la città del sud ha anch’essa delle sue peculiarità non usuali. Èabitata, ad esempio, da una
“popolazione industriale senza industria”; una popolazione costituita da “pescatori senza barca e
contadini senza terra”. Il mare che dovrebbe costituire la prima risorsa come aveva già capito Anna
Maria Ortese “non serve, è sfruttato, magnifico, nobile e vecchio”; non serve nemmeno, il mare, a
sciogliere l’”abbaglio fisso” che sovrasta il paesaggio. Dell’autore di questo diario sappiamo poco. A
differenza delle persone che incontra non ha un nome, se non la qualifica di “dottore”, affibbiatagli
regolarmente dai suoi interlocutori; viene dal nord (anche se non ci è nato) e lì tornerà, ha una moglie.
Sappiamo però che il Sud lo attrae, perché gli consente di mettere l’una contro l’altra la sua pulsione
razionalizzante e quella anarchica. Alla fine della sua esperienza di selezionatore, poco prima di tornare
a casa, si chiede: “Non si poteva vivere a Santa Maria per sempre?”. Ma prima che la domanda agisca
nella sua mente, il treno è già partito. È una domanda che Ottieri continuerà a porsi per tutta la vita.


OTTIERO OTTIERI FRA GLI OPERAI MERIDIONALI
di Beniamino Placido
(«la Repubblica», 4 aprile 2004)

Fra le tante guerre che hanno attraversato e straziato il nostro Paese ce ne sono state due che meritano
di essere raccontate insieme:la guerra provocata dal conflitto fra industria e agricoltura, fra lavoro
industriale e lavoro di fabbrica e il suo rovescio. Lo si sapeva sin da prima che il Mezzogiorno agricolo
entrasse in crisi e spingesse una quantità di operai ansiosi verso le fabbriche, che l’industria è diversa
dall’agricoltura. Nell’agricoltura contano le vicende del tempo, le vicissitudini stagionali: la grandine
può rovinare un raccolto così come può fare un’inondazione. Mentre questi due eventi, ed altri
consimili, lascia del tutto indifferente la produzione industriale. Tutto il contrario nelle vicende del
mercato. Qui è l’agricoltura ad essere più protetta, finché i Consorzi agrari esistono e resistono. Sono
loro che dovranno andare ad ammassare i prodotti agrari pagandoli nel frattempo ai contadini per poi
rivenderli con tutta calma sui mercati, quando il momento si fa più opportuno. Poi c’è il lavoro agricolo
e quello industriale, diversissimi l’uno dall’altro. Non lo sapevamo, prima. Pensavamo che il
giovanotto fortunosamente, fortunatamente entrato in una fabbrica di Torino o di Milano facesse
pressappoco lo stesso lavoro del suo amico. Giovanotto anche lui rimasto a lavorare e ad allevare
animali, laggiù nella campagna. Invece era vero e continua ad essere vero, l’opposto. Quanto ai
lavoratori agricoli, sapevamo già delle loro difficoltà: specie nel cercare il posto di lavoro; specie nel
sopportare le prospettive della disoccupazione, sempre in agguato. E poi, di fronte ai cancelli della
fabbrica, spostata dal Nord al Mezzogiorno, ma tuttora chiusi, bisognava imparare a comportarsi di
fronte al “pizzicologo” e all’ingegnere –sociologo che vi avrebbe interrogato in vista di una sospirata,
probabile assunzione. Psicologo era Ottiero Ottieri oppure sociologo, ma fa lo stesso, quando l’Olivetti
lo inviò al Sud a mettere in piedi quella sua nuova fabbrica appena impiantata, in vista del mare di
Napoli. E Ottiero Ottieri affronta i suoi disoccupati del Sud, dove la disoccupazione è un elemento
quasi naturale, riesamina uno per uno (o una per una ) ed espone le sue teorie sulla loro eventuale
assunzione (magari, dottore!Magari!) ascolta le loro reazioni che sono nervose e lunghe e poi giorno
per giorno ce li descrive in questo romanzo: Donnarumma all’assalto. Un classico della letteratura
italiana del dopoguerra (prefazione di Giuseppe Montesano, Garzanti elefanti). Ottiero Ottieri, che è
morto due anni or sono, è naturalmente quello che noi diremmo un umanista e proprio per questo
particolarmente affascinato da una scrittura sobria. A questa sobrietà lo richiamano, lo incoraggiano i suoi verbosi interlocutori, che verbosi sono perché non sanno in che altro sperare, una volta svanita
quella promessa di occupazione.
“Io vi faccio vedere che vi faccio il lavoro di tre operai insieme. Io non ho paura di niente,
nemmeno della meccanica. “
“Lei dove ha lavorato prima?”
“Ho lavorato nei cantieri. Io sono il migliore manuale di Santa Maria:”
“Ma vede, noi adesso non abbiamo bisogno di manovali.”
“E di che cosa avete bisogno, di ingegneri?”
“Non di ingegneri, ma di operai che abbiamo attitudine alla meccanica.”
“Io ce l’ho l’attitudine. Fatemi fare la prova”.
“Ho capito: Che scuola avete fatto?”
“Nessuna scuola. La scuola ce l’ho in testa. A me mi piace di faticare. Io sono alfabeta. Io sono
alfabeta, con sette figli, ma mi piace di faticare, devo mangiare.”
Tutti così i dialoghi di Ottiero Ottieri con i suoi aspiranti all’assunzione in fabbrica, per 253 pagine.
Tutte così o così pressappoco, ma per 253 pagine non ci si stanca mai.